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“Il percorso arbitrale”, appare scritto a caratteri cubitali sullo schermo; Sotto, l’immagine di una montagna e all’interno di essa una strada tortuosa che collega la valle con la cima: “voglio arrivare in cima e godermi il panorama, ma per farlo devo costruirmi una corazza e una bombola durante il tragitto, perché lassù l’aria è rarefatta, si fa fatica a respirare e a cadere ci vuole un attimo”. Si è presentato così Mattia Scarpa, che lo scorso lunedì è giunto a farci visita dalla sezione di Reggio Emilia. Il giovane assistente CAN ha improntato la riunione proprio sulla gestione di tutti gli ostacoli che il “percorso arbitrale” può presentare, non solo motivando i ragazzi e le ragazze più giovani a non mollare nei momenti di difficoltà, ma analizzando in maniera analitica l’atteggiamento da adottare dinanzi a un errore, una delusione o un fallimento.

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“Posso garantirvi che spesso i nostri errori in campo sono dovuti a una cattiva preparazione, se le gambe non vanno il cervello si offusca e prendere la decisione migliore diventa difficile”. Da qui Mattia ha espresso l’importanza di allenarsi in gruppo, ma soprattutto di farlo con chi ha più esperienza sfruttando il polo atletico. La parola d’ordine della serata è stata “sacrifici”, più volte ripetuta da Scarpa nel corso della riunione, con lo scopo di invogliare i giovani fischietti presenti a sfruttare a pieno gli strumenti che l’aia gli mette a disposizione: la sezione, il regolamento, il polo atletico e il confronto con i colleghi. Mattia ha concluso riassumendo in una frase il valore aggiunto che l’arbitraggio ha offerto alla sua vita: “nonostante tutti non arrivino ai massimi livelli, l’AIA e l’arbitraggio restano una grandissima scuola di vita.

Mi hanno permesso di sviluppare una specie di “sesto senso” utile anche nella mia vita privata e lavorativa: mi hanno insegnato a decidere in pochissimi istanti con istintività e facendo la scelta giusta”. L’interesse suscitato nei volti della platea si è tramutato in numerose domande alle quali Mattia ha risposto con la solita analiticità e precisione. Il motivo del successo della serata forse risiede proprio in ciò che spinge l’arbitro a superare i proprio limiti, l’immagine della montagna ne è la rappresentazione, perché a differenza di come siamo abituati a pensare (forse anche un po’ per scaramanzia) porsi un obbiettivo a lungo termine non è poi così utopistico. Mattia l’ha fatto, ha superato alcuni ostacoli, ha cambiato “modo” di arbitrare una volta raggiunto il massimo con il fischietto, ed è arrivato lì, sulla cima della montagna.

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